mercoledì 14 ottobre 2009

Manifestazione "No Berlusconi Day" del 5 dicembre - prime indicazioni operative


Il comitato "No Berlusconi Day", nato su Facebook per iniziativa di un gruppo di blogger democratici, indice per il prossimo 5 dicembre, a Roma, una manifestazione nazionale per chiedere le dimissioni del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Per aderire alla manifestazione, comunicare o proporre iniziative locali e nazionali di sostegno o contattare il comitato potete scrivere all'indirizzo e-mail: noberlusconiday@hotmail.itPer rimanere aggiornati sullo sviluppo dell'iniziativa iscrivetevi alla pagina Facebook del comitato: Una manifestazione nazionale per chiedere le dimissioni di BerlusconiAbbiamo allestito una pagina dedicata all'evento di Roma.ILTESTO DELL'APPELLO
A noi non interessa cosa accade se si dimette Berlusconi e riteniamo che il finto "Fair Play" di alcuni settori dell'opposizione, costituisca un atto di omissione di soccorso alla nostra democrazia del quale risponderanno, eventualmente, davanti agli elettori. Quello che sappiamo è che Berlusconi costituisce una gravissima anomalia nel quadro delle democrazie occidentali -come ribadito in questi giorni dalla stampa estera ce definisce la nostra "una dittatura"- e che lì non dovrebbe starci, anzi lì non sarebbe nemmeno dovuto arrivarci: cosa che peraltro sa benissimo anche lui e infatti forza leggi e Costituzione come nel caso dell'ex Lodo Alfano e si appresta a compiere una ulteriore stretta autoritaria come dimostrano i suoi ultimi proclami di Benevento. Non possiamo più rimanere inerti di fronte alle iniziative di un uomo che tiene il Paese in ostaggio da oltre15 anni e la cui concezione proprietaria dello Stato lo rende ostile verso ogni forma di libera espressione come testimoniano gli attacchi selvaggi alla stampa libera, alla satira, alla Rete degli ultimi mesi. Non possiamo più rimanere inerti di fronte alla spregiudicatezza di un uomo su cui gravano le pesanti ombre di un recente passato legato alla ferocia mafiosa, dei suoi rapporti con mafiosi del calibro di
Vittorio Mangano o di condannati per concorso esterno in associazione mafiosa come Marcello Dell'Utri.Deve dimettersi e difendersi, come ogni cittadino, davanti ai Tribunali della Repubblica per le accuse che gli vengono rivolte.COMITATO 'NO BERLUSCONI DAY'

martedì 13 ottobre 2009

Le 7 domande che hanno inchiodato Berlusconi

Esercizio di memoria per ragazzi: 2 querele per “falsità“, 2 sconfitte pagate 115 mila euro. Signor Berlusconi, potrebbe rispondere pubblicamente a queste domande? Premessa: la Banca Rasini di Milano, di proprietà negli anni Settanta di Carlo Rasini, è stata indicata da Sindona e in molti documenti ufficiali di magistrati che hanno indagato sulla mafia, come la principale banca utilizzata dalla mafia per il riciclo del denaro sporco nel Nord-Italia. Di questa Banca sono stati clienti Pippo Calò, Totò Riina e Bernardo Provenzano, negli anni in cui formavano la cupola della mafia. In quegli stessi anni il Sig. Luigi Berlusconi lavorava presso la Banca, prima come impiegato, poi come Procuratore con diritto di firma e infine come Direttore.1) Nel 1970, il procuratore della banca Luigi Berlusconi ratifica un’operazione molto particolare: la banca Rasini acquisisce una quota della Brittener Anstalt, una società di Nassau legata alla Cisalpina Overseas Nassau Bank, nel cui consiglio d’amministrazione figurano Roberto Calvi, Licio Gelli, Michele Sindona e monsignor Paul Marcinkus. Questo Luigi Berlusconi, procuratore con diritto di firma della banca Rasini, era suo padre?2) Sempre intorno agli anni Settanta il Sig. Silvio Berlusconi ha registrato presso la banca Rasini ventitré holding come “negozi di parrucchiere ed estetista”, è lei questo Signor Silvio Berlusconi?3) Lei ha registrato presso la banca Rasini, ventitré “Holding Italiane” che hanno detenuto per molto tempo il capitale della Fininvest, e altre 15 Holding, incaricate di operazioni su mercati esteri. Le ventitré holding di parrucchiere, che non furono trovate a una prima indagine della guardia di finanza, e le ventitré Holding italiane, sono la stessa cosa?4) Nel 1979 il finanziere Massimo Maria Berruti che dirigeva e poi archiviò l’indagine della Guardia di Finanza sulle ventitré holding della Banca Rasini, si dimise dalla Guardia di Finanza. Questo signor Massimo Maria Berruti è lo stesso che fu assunto dalla Fininvest subito dopo le dimissioni dalla Guardia di Finanza, fu poi condannato per corruzione, eletto in seguito parlamentare nelle file di Forza Italia, e incaricato dei rapporti delle quattro società Fininvest con l’avvocato londinese David Mills, appena condannato in Italia su segnalazione della magistratura inglese?5) Nel 1973 il tutore dell’allora minorenne ereditiera Anna Maria Casati Stampa si occupò della vendita al Sig. Silvio Berlusconi della tenuta della famiglia Casati ad Arcore. La tenuta dei Casati consisteva in una tenuta di un milione di metri quadrati, un edificio settecentesco con annesso parco, villa San Martino, di circa 3.500 metri quadri, 147 stanze,una pinacoteca con opere del Quattrocento e Cinquecento, una bibliotca con circa 3000 volumi antichi, un parco immenso, scuderie e piscine. Un valore inestimabile che fu venduto pe r la cifra di circa 500 milioni di lire (250.000 euro) in titoli azionari di società all’epoca non quotate in borsa, che furono da lei riacquistati pochi anni dopo per circa 250 milioni.(125.000 euro). Il tutore della Casati Stampa era un avvocato di nome Cesare Previti. Questo avvocato è lo stesso che poi è diventato suo avvocato della Fininvest, senatore di Forza Italia, Ministro della Difesa, condannato per corruzione ai giudici, interdetto dai diritti civili e dai pubblici uffici, e che lei continua a frequentare?6) A Milano, in via Sant’Orsola 3, nacque nel 1978 una società denominata Par.Ma.Fid. La Par.Ma.Fid. è la medesima società fiduciaria che ha gestito tutti i beni di Antonio Virgilio, finanziere di Cosa Nostra e riciclatore di capitali per conto dei clan di Giuseppe e Alfredo Bono, Salvatore Enea, Gaetano Fidanzati, Gaetano Carollo, Carmelo Gaeta e altri boss – di area corleonese e non – operanti a Milano nel traffico di stupefacenti a livello mondiale e nei sequestri di persona. Signor Berlusconi, importanti quote di diverse delle suddette ventitré Holding verranno da lei intestate proprio alla Par.Ma.Fid. Per conto di chi la Par.Ma.Fid. ha gestito questa grande fetta del Gruppo Fininvest e perché lei decise di affidare proprio a questa società una parte così notevole dei suoi beni?7) Signor Berlusconi da dove sono venuti gli immensi capitali che hanno dato inizio, all’età di ventisette anni, alla sua scalata al mondo finanziario italiano? Vede, Signor Berlusconi, tutti gli eventuali reati cui si riferiscono le domande di cui sopra sono oramai prescritti. Ma il problema è che i favori ricevuti dalla mafia non cadono mai in prescrizione, i cittadini italiani, europei, i primi ministri dei paesi con cui lei vuole incontrarsi, hanno il diritto di sapere se lei sia ricattabile o se sia una persona libera.P.S. Dato che lei è già stato condannato in via definitiva per dichiarazioni false rese ad un giudice in un tribunale, dovrebbe farci la cortesia di fornire anche le prove di quello che dice, le sole risposte non essendo ovviamente sufficienti.NOTA – Le sette domande sono state pubblicate ne “L’odore dei soldi” di Elio Veltri e Marco Travaglio (Editori Riuniti) 2001. Quindi note a tutti i parlamentari del Partito delle Libertà, della Lega e all’opposizione. Berlusconi ha intentato due cause agli autori del libro: la prima, per diffamazione, si è conclusa nel 2005 con l’assoluzione dei due autori e la condanna a Berlusconi: 100.000 euro di spese. La seconda – richiesta di risarcimento per diffamazione a mezzo stampa – è stata respinta dal Tribunale di Roma con l’obbligo del pagamento di 15.000 euro da parte del querelante.

lunedì 12 ottobre 2009

Cambiare la Carta, l’arma di Berlusconi «in guerra»

«Certa stampa italiana e straniera sputtana non solo il presidente del Consiglio,ma la democrazia e il nostro Paese», ma «non finirà come nel ‘94», avverte Berlusconi. Non è un comizio qualunque, quello di Benevento. Il premier prova a uscire dall’angolo, dall’isolamento politico seguito alla sentenza della Consulta sulLodoAlfano.Elo fa allamaniera sua, richiamandosi alla «discesa in campo» e al «discorso del predellino » che annunciò la nascita del Pdl. La «rivoluzione liberale» - come la definiscono dallo staff - che prova a rilanciare il Cavaliere punta «adunagrande riforma» della Costituzione e al riequilibrio tra i poteri dello Stato. Ma si pone anche un obiettivo più spicciolo: mettere al riparo il Cavaliere dagli effetti della bocciatura dell’immunità per le alte cariche dello Stato. I tecnici della maggioranza sono già al lavoro. Anche per rispolverare il vecchio provvedimento «blocca processi» che, scriveva Feltri sul Giornale, sospendeva «i procedimenti di vecchia data per dare la precedenza a reati che suscitano maggiore allarme sociale ». «Così non si può andare avanti », ripete il premier davanti alla folla che invade il palazzetto dello sport di Benevento. La tesi è quella del complotto per disarcionarlo. «Ma questa volta non finirà come nel ‘94», insiste. E cita l’avviso di garanzia della procura di Milano e una recente confessione di Bossi: «Fu Scalfaro a convincerlo a provocare la caduta del mio governo, spiegandogli che Berlusconi era ormai finito». La denuncia, quindi: «Oggi stanno cercando di fare la stessa cosa di allora, mail governo porterà a termine la legislatura perché adesso c’è il Pdl e il consenso del 68% degli italiani». Quale l’arma segreta da mettere in campo?Il Cavaliere non lo svela apertamente, «stiamo riflettendo», spiega. E si dilunga sulla riforma della giustizia, «che prevede la separazione di giudici e pm», citando Francia e Gran Bretagna dove «la pubblica accusa è sottoposta all'esecutivo»', ma rilancia anche le intercettazioni telefoniche poiché in Italia «il diritto alla privacy è calpestato». A Palazzo Chigi, in realtà, sono convinti che sgombrato il campo dal Lodo Alfano, il Cavaliere potrebbe subire di qui ad un anno almeno una condanna in primo grado, quella più probabile potrebbe riguardare i diritti tv.RADIO PROCURABerlusconi, in realtà, non si fida delle notizie che trapelano dalle procure e che danno per certe prescrizioni di reati e assoluzioni. Messa nel conto, allora, la prevedibile richiesta di dimissioni dell’opposizione, il premier teme – in realtà – un gesto del Colle che potrebbe delegittimarlo e implicare le dimissioni del suo governo. Mettere in campo un’azione preventiva legislativa e mediatica per sterilizzare le conseguenze di un’eventuale condanna, allora. Come? Incollando su Napolitano l’etichetta di Capo dello Stato «che viene dalla sinistra» e per nulla «super partes». E gettando sul tavolo, nel contempo, una grande proposta di riforma costituzionale che punta sull’elezione diretta del Presidente della Repubblica che, a quel punto, dovrebbe avere poteri analoghi a quelli di Sarkozy. Al di là della possibilità concreta che la proposta avrebbe di compattare la maggioranza – l’incognita Fini è dietro l’angolo – l’obiettivo è innanzitutto mediatico: un gesto del Capo dello Stato che potrebbe produrre le dimissioni del premier sarebbe viziato politicamente anche dal fatto che la proposta di riforma passerebbe un colpo di spugna sui «vecchi» criteri di elezione della massima carica della Repubblica. E, al di là di questo, la suggestione di una profonda modifica della Costituzione – che prevederebbe anche quella della Consulta, «sleale » sul lodo Alfano – ridarebbe ad un premier in difficoltà lo smalto del «rivoluzionario liberale» dell’era della discesa in campo. E chi lo dice, poi, che quella riforma radicale delle istituzioni non possa andare avanti? Anche a colpi di maggioranza - «se il Pd non è d’accordo» -, anche appellandosi al «popolo» al momento del referendum. «Frange politicizzate della magistratura, con l’ausilio di una Corte costituzionale di sinistra e di una stampa che sputtana il Paese – sottolinea il premier - per conto dell’opposizione e di certi poteri forti (primo fra tutti l’editore di Repubblica che con la sentenza civile sulla Mondadori vuole farlo «fuori politicamente», mentre sul giudice milanese Mesiano «ne sentiremo delle belle») puntano a disarcionare «chi è stato eletto dalla volontà popolare», accusa Berlusconi. E in privato il Cavaliere è ancora più netto: «Siamo in guerra», spiega, quindi bisogna difendersi attaccando. Perché «non è normale che al presidente del Consiglio si rivolgano improperi, insulti e infamie. Così non si può andare avanti».

domenica 11 ottobre 2009

Dopo il Lodo, la piazza

È stata una sentenza durissima. E adesso Silvio Berlusconi è pronto a scatenare i suoi. Per continuare con ogni mezzo la sfida alle istituzioni
È stata una sentenza durissima, praticamente spietata. La nettissima bocciatura a cui la Corte costituzionale ha sottoposto il Lodo Alfano è la prima vera e grande sconfitta politica di Silvio Berlusconi. Al confronto, sbiadisce persino la caduta del suo governo nel 1994, dopo solo sette mesi. La sentenza della Consulta è stata motivata nitidamente in punto di diritto, e non è possibile attribuirle una intenzione strumentale o politica. Indica un riferimento all'articolo 3, cioè al principio di uguaglianza dei cittadini, oltreché una sciatta violazione dell'articolo 138 della Carta costituzionale, nel senso che una legge di quella portata implicava un iter di modificazione costituzionale, e non una legge ordinaria.Bocciatura senza appello, dunque. Tuttavia, anche se la politica è rimasta fuori dal palazzo della Consulta, gli effetti del verdetto sul Lodo configurano una situazione potenzialmente distruttiva per il premier e per l'alleanza di destra, e quindi colpi di coda a non finire. Verrebbe anzi da dire: chi è causa del suo mal pianga se stesso, oppure: chi semina vento raccoglie tempesta, dato che i vertici del centrodestra e lo staff di avvocati del Cavaliere hanno contribuito in modo addirittura stravagante a drammatizzare la decisione sulla legge Alfano. Per dire, ancora nel pomeriggio della sentenza, Umberto Bossi aveva minacciato di "trascinare il popolo" nelle piazze in caso di bocciatura del Lodo, esercitando una pressione inaudita sulla Corte. A sua volta la pancia del Pdl si scatenava nei blog e nei siti del centrodestra sostenendo più o meno che "quindici parrucconi non fermeranno il popolo". Ma l'aspetto più inquietante sul piano istituzionale era stata l'offensiva messa in campo dagli avvocati che sostenevano la causa di Berlusconi e dell'immunità per il premier e le principali cariche pubbliche: lasciamo pur perdere la posizione dell'avvocatura dello Stato, che aveva offerto motivazioni di puro realismo politico, preferendo nelle proprie argomentazioni le opportunità della politica spicciola, e favorevole al capo del governo, al rigore giuridico (anche questa è una sconfitta nella sconfitta, e una sostanziale scalfittura nella credibilità per quell'alto ufficio).Ciò che invece è risultata sorprendente, fino ai limiti dell'incredibile, è stata la strategia di Niccolò Ghedini e Gaetano Pecorella, i due super professionisti che assistevano Berlusconi nell'affaire del Lodo. Ghedini e Pecorella hanno sostenuto che la Costituzione materiale aveva modificato, praticamente fino a travolgerla, la Costituzione formale. Ghedini si è spinto fino ad argomentare il sofisma secondo cui la legge è effettivamente uguale per tutti, ma può essere diseguale la sua applicazione, a seconda del soggetto che ne è coinvolto. Più ?ad personam? di così si muore. Con maggiore sofisticazione giuridica, ma con esiti virtualmente travolgenti per l'assetto istituzionale, Pecorella ha sostenuto che, in seguito alla legge elettorale universalmente conosciuta come ?Porcellum?, il premier viene "eletto " dal popolo, senza mediazioni parlamentari, e quindi la sua diventa una funzione apicale, superiore a quella degli altri ministri: il primo ministro diventa, secondo Pecorella, non più un "primus inter pares", bensì un "primus super pares", meritevole quindi di un trattamento particolare nell'ordinamento generale. La tesi era insostenibile, proprio in quanto investiva la natura e la fisionomia stesse della Repubblica, che resta di tipo parlamentare, in cui il premier deve ricevere l'incarico dal Quirinale, e raccogliere la fiducia in Parlamento. Ma il ?lodo Pecorella?, se possiamo chiamarlo così, rivelava l'intento di forzare i limiti e i confini dell'apparato costituzionale, ?sfondando? in modo plebiscitario l'impianto della Carta. Può essere proprio questa tesi a far inclinare il giudizio della Corte verso la bocciatura. E dovrebbe essere evidente che questa strategia preparava lo sfondo per il conflitto prossimo venturo.Perché è chiaro che Berlusconi e le sue truppe si stanno preparando alla guerra, e che la guerra comincerà immediatamente. Il Cavaliere è sotto attacco da parte della magistratura milanese, per il processo Mills (corruzione in atti giudiziari) e per i fondi neri nella compravendita di diritti cinematografici e tv; a Roma per il tentativo di acquisire il voto di alcuni senatori per far cadere il governo Prodi. Per la prima volta il premier rischia, soprattutto nel caso Mills, una condanna penale che potrebbe risultare devastante per la sua immagine, sul piano interno e sul piano internazionale. Che cosa farà quindi Berlusconi? A quanto si capisce, dopo avere dichiarato che nella Corte costituzionale "undici giudici sono di sinistra", è pronto ad andare ?à la guerre comme à la guerre? e a "sbugiardare " i suoi nemici. "Vado avanti": aveva già cominciato ad agitare i sondaggi di Euromedia, che gli assicurano un consenso mai visto, garantito dalla sua cappa mediatica.E quindi il suo piano bellico è facilmente descrivibile. Un uomo solo, ricco, amato e odiato, ma unto dalla "doccia di schede elettorali" si sente in grado di sfidare istituzioni e convenzioni della Repubblica. È un progetto iper-populista, con modalità ed esiti virtualmente peronisti. Berlusconi è come sempre pronto a sfidare l'universo mondo, la sinistra, i comunisti, i magistrati rossi, la stampa di sinistra, la televisione che fa opposizione, senza curarsi minimamente dei danni pubblici che la sua azione può provocare. Va da sé, allora, che lo scenario che si presenta davanti ai cittadini è un panorama di rovine, potenzialmente catastrofico. Ridiventano fin troppo evocative le immagini finali del ?Caimano? di Nanni Moretti, con i fuochi appiccati dai supporter del protagonista.Certo non c'è da confondere la finzione con la realtà; ma per evitare sovrapposizioni disastrose fra i due livelli occorre una eccezionale saldezza degli apparati istituzionali e dell'establishment nazionale. Mentre sulla tenuta delle istituzioni si può nutrire una certa fiducia, visto che la stessa sentenza della Consulta testimonia positivamente in questo senso, e che comunque sull'ultimo Colle la presenza e la coerenza di Giorgio Napolitano offrono garanzie, il problema principale riguarda l'atteggiamento delle élite. In una condizione di paese normale, il premier si dimetterebbe e affronterebbe i processi che lo attendono. Sarebbe legittimo da parte sua cercare di mobilitare i suoi fan e tuffarsi nel grande gioco delle elezioni anticipate. Ma ci sono troppi vincoli, istituzionali e comportamentali, che coinvolgono il ruolo dei presidenti delle Camere e la funzione attiva del capo dello Stato. Tuttavia tocca soprattutto ai circuiti formali e informali del potere, a tutti i livelli, cercare di stabilizzare una situazione fortemente critica. Se l'establishment italiano accettasse di schierarsi secondo il modulo berlusconiano, dividendosi in modo cruento e sposando la causa dello scontro totale, si potrebbe anche chiudere bottega, in attesa della fine della bufera.Conviene augurarsi che per una volta la vischiosità del potere in Italia rappresenti un freno alla guerra civile ideologica che Silvio Berlusconi ha già dichiarato. Sembrerà stravagante appellarsi all'anima andreottiana o dorotea della nostra società; ma quando la situazione si colora di drammaticità è naturale aggrapparsi a tutto, anche alla prudenza e alle cautele che in passato hanno impedito un cambiamento fruttuoso. Qui e ora, probabilmente, c'è soltanto da provare a salvare un paese.

L’attacco finale del Cavaliere

Berlusconi ha dichiarato guerra alla democrazia liberale. Questo, e nulla di meno, rappresenta l’insieme di ingiurie che ha vomitato, prima a caldo e poi a freddo, contro la Corte Costituzionale, cioè il supremo arbitro della legalità repubblicana (e contro il presidente Napolitano). Se Obama si permettesse contro la Corte Suprema anche un decimo delle volgarità berlusconiane, l’impeachment scatterebbe dopo cinque minuti, richiesto a gran voce da maggioranza e opposizione e dal coro indignato dei media.La democrazia liberale, infatti, a differenza di quella giacobina, si basa sul “governo limitato”, cioè su un esecutivo che non può mai esondare i limiti della Costituzione, quale che sia il consenso popolare di cui gode. E l’argine contro ogni tentazione dispotica è appunto la Corte Suprema, la Corte Costituzionale, la sua autonomia e superiorità rispetto al governo.Per Berlusconi tutto questo è ostrogoto.La divisione dei poteri, cioè l’autonomia della magistratura e dell’informazione, pilastri della moderna vita democratica, gli risulta incomprensibile. Pensa davvero che il voto o il sondaggio lo rendano padrone e signore dello Stato, che infatti non chiama Repubblica italiana ma “azienda Italia”. E ora, di fronte ad una Corte Costituzionale che non si è piegata né a lusinghe né a intimidazioni, ha deciso di lanciare l’attacco definitivo: una legge che metta al guinzaglio i magistrati (visto che i media al guinzaglio li ha già).Berlusconi è posseduto da una incontenibile pulsione totalitaria. E ha deciso che è venuto il momento di soddisfare questo suo vizio fino in fondo, di emulare “l’amico Putin”, che resta il suo modello. Ma a differenza della Russia, asservita agli oligarchi, vuole l’Italia asservita ad un solo satrapo, se stesso. Gianfranco Fini ha “preso le distanze”, ma ci vuole ben altro, per fermare un progetto dichiarato di squadrismo anti-istituzionale. Il Partito democratico ha blaterato che “risponderà con le primarie”. Sarebbe farsesco, se non fosse una tragedia. Si gingillano con le figurine, mentre il piromane mette a fuoco la casa comune. Del resto, la forza di Berlusconi sta tutta nell’assenza di una opposizione.Resta il popolo. Quello vero, quello dei cittadini, non della massa anonima, ammaestrata e plaudente nello spurgo d’odio contro la garanzia delle libertà di tutti, le istituzioni liberali. Resta la società civile, insomma, che non ha rappresentanza politica e non ha canali televisivi. Ma dignità e coraggio. Finché c’è lotta c’è speranza.