lunedì 12 ottobre 2009
Cambiare la Carta, l’arma di Berlusconi «in guerra»
«Certa stampa italiana e straniera sputtana non solo il presidente del Consiglio,ma la democrazia e il nostro Paese», ma «non finirà come nel ‘94», avverte Berlusconi. Non è un comizio qualunque, quello di Benevento. Il premier prova a uscire dall’angolo, dall’isolamento politico seguito alla sentenza della Consulta sulLodoAlfano.Elo fa allamaniera sua, richiamandosi alla «discesa in campo» e al «discorso del predellino » che annunciò la nascita del Pdl. La «rivoluzione liberale» - come la definiscono dallo staff - che prova a rilanciare il Cavaliere punta «adunagrande riforma» della Costituzione e al riequilibrio tra i poteri dello Stato. Ma si pone anche un obiettivo più spicciolo: mettere al riparo il Cavaliere dagli effetti della bocciatura dell’immunità per le alte cariche dello Stato. I tecnici della maggioranza sono già al lavoro. Anche per rispolverare il vecchio provvedimento «blocca processi» che, scriveva Feltri sul Giornale, sospendeva «i procedimenti di vecchia data per dare la precedenza a reati che suscitano maggiore allarme sociale ». «Così non si può andare avanti », ripete il premier davanti alla folla che invade il palazzetto dello sport di Benevento. La tesi è quella del complotto per disarcionarlo. «Ma questa volta non finirà come nel ‘94», insiste. E cita l’avviso di garanzia della procura di Milano e una recente confessione di Bossi: «Fu Scalfaro a convincerlo a provocare la caduta del mio governo, spiegandogli che Berlusconi era ormai finito». La denuncia, quindi: «Oggi stanno cercando di fare la stessa cosa di allora, mail governo porterà a termine la legislatura perché adesso c’è il Pdl e il consenso del 68% degli italiani». Quale l’arma segreta da mettere in campo?Il Cavaliere non lo svela apertamente, «stiamo riflettendo», spiega. E si dilunga sulla riforma della giustizia, «che prevede la separazione di giudici e pm», citando Francia e Gran Bretagna dove «la pubblica accusa è sottoposta all'esecutivo»', ma rilancia anche le intercettazioni telefoniche poiché in Italia «il diritto alla privacy è calpestato». A Palazzo Chigi, in realtà, sono convinti che sgombrato il campo dal Lodo Alfano, il Cavaliere potrebbe subire di qui ad un anno almeno una condanna in primo grado, quella più probabile potrebbe riguardare i diritti tv.RADIO PROCURABerlusconi, in realtà, non si fida delle notizie che trapelano dalle procure e che danno per certe prescrizioni di reati e assoluzioni. Messa nel conto, allora, la prevedibile richiesta di dimissioni dell’opposizione, il premier teme – in realtà – un gesto del Colle che potrebbe delegittimarlo e implicare le dimissioni del suo governo. Mettere in campo un’azione preventiva legislativa e mediatica per sterilizzare le conseguenze di un’eventuale condanna, allora. Come? Incollando su Napolitano l’etichetta di Capo dello Stato «che viene dalla sinistra» e per nulla «super partes». E gettando sul tavolo, nel contempo, una grande proposta di riforma costituzionale che punta sull’elezione diretta del Presidente della Repubblica che, a quel punto, dovrebbe avere poteri analoghi a quelli di Sarkozy. Al di là della possibilità concreta che la proposta avrebbe di compattare la maggioranza – l’incognita Fini è dietro l’angolo – l’obiettivo è innanzitutto mediatico: un gesto del Capo dello Stato che potrebbe produrre le dimissioni del premier sarebbe viziato politicamente anche dal fatto che la proposta di riforma passerebbe un colpo di spugna sui «vecchi» criteri di elezione della massima carica della Repubblica. E, al di là di questo, la suggestione di una profonda modifica della Costituzione – che prevederebbe anche quella della Consulta, «sleale » sul lodo Alfano – ridarebbe ad un premier in difficoltà lo smalto del «rivoluzionario liberale» dell’era della discesa in campo. E chi lo dice, poi, che quella riforma radicale delle istituzioni non possa andare avanti? Anche a colpi di maggioranza - «se il Pd non è d’accordo» -, anche appellandosi al «popolo» al momento del referendum. «Frange politicizzate della magistratura, con l’ausilio di una Corte costituzionale di sinistra e di una stampa che sputtana il Paese – sottolinea il premier - per conto dell’opposizione e di certi poteri forti (primo fra tutti l’editore di Repubblica che con la sentenza civile sulla Mondadori vuole farlo «fuori politicamente», mentre sul giudice milanese Mesiano «ne sentiremo delle belle») puntano a disarcionare «chi è stato eletto dalla volontà popolare», accusa Berlusconi. E in privato il Cavaliere è ancora più netto: «Siamo in guerra», spiega, quindi bisogna difendersi attaccando. Perché «non è normale che al presidente del Consiglio si rivolgano improperi, insulti e infamie. Così non si può andare avanti».
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