domenica 3 aprile 2011

ROBERTO SAVIANO La camorra nelle urne. I boss padroni del voto.

La camorra nelle urne. I boss padroni del voto.

Ecco come i clan orga­niz­zano la rac­colta dei voti casa per casa e con­sentono rapide car­riere ai politici legati ai clan
di ROBERTO SAVIANO

Roberto Saviano

La camorra gestisce migli­aia e migli­aia di voti. Più la gente si allon­tana dalla polit­ica, più sente che sono tutti uguali e tutti inca­paci più noi rius­ci­amo a com­prare voti. E noi pun­tavamo sul rin­no­va­mento degli ammin­is­tra­tori locali. Abbi­amo fatto eleg­gere quello che all’epoca fu il più gio­vane sin­daco ital­iano: Alfredo Cicala sin­daco di Melito. Uscirono mille arti­coli su di lui, il gio­vane sin­daco della Margherita, dice­vano. Ma era un uomo nos­tro”. È l’ultimo col­lo­quio con Mau­r­izio Prestieri, il boss di Sec­ondigliano che ha deciso di col­lab­o­rare con la gius­tizia e da allora vive sotto pro­tezione. E la sto­ria che rac­conta, quella del sin­daco di Melito, è una sto­ria tragi­ca­mente comune in Cam­pa­nia. Cicala, dopo il tri­onfo e qualche anno in car­ica, finisce in carcere, arrestato per asso­ci­azione a delin­quere di stampo camor­ris­tico: gli ven­gono seques­trati beni per 90 mil­ioni di euro. Una somma enorme per un sin­daco di un paeso, impens­abile poter guadagnare in breve tempo una cifra così grande e impens­abile poter essere pro­pri­etario di interi agglomerati con­do­miniali del suo ter­ri­to­rio senza che dietro ci fos­sero i cap­i­tali dei clan.

In questo caso sono i soldi del nar­co­traf­fico dei Di Lauro-Prestieri. Ma Cicala non è uno qualunque: prima dell’arresto fa due car­riere par­al­lele, in polit­ica e nel clan. Diventa mem­bro del diret­tivo provin­ciale della Margherita e sec­ondo le indagini riesce ad influen­zare anche l’elezione suc­ces­siva della giunta Di Gen­naro, poi sci­olta per infil­trazione mafiosa. Chiam­ato dai camor­risti “ò sin­daco” è l’unico politico a poter pre­sen­ziare alle riu­nioni dei boss. Nat­u­ral­mente parte­cipa a diverse man­i­fes­tazioni per la legal­ità con­tro la camorra e i camor­risti (soprat­tutto con­tro le famiglie nemiche del suo clan). Insomma: la per­son­al­ità per­fetta per coprire affari e gov­ernare un territorio.

L’inchiesta “Nemesi” della Dda di Napoli che indaga sul sis­tema elet­torale a Melito descrive il clima del ter­ri­to­rio come “la Chicago degli anni ’30″. Cicala diventa il can­didato dei clan per scon­fig­gere Bernardino Tuc­cillo, can­didato sin­daco da un altro pezzo del cen­trosin­is­tra. Tuc­cillo è sti­mato, ascoltato, riso­luto, è stato sin­daco e la camorra cerca di boicot­tarlo in tutti i modi. Ha i mezzi per farlo. “Alcuni can­di­dati — ha rac­con­tato Tuc­cillo — veni­vano da me piangendo, sup­pli­can­domi di strac­ciare i mod­uli con l’accettazione delle loro can­di­da­ture. Altri, pal­lidi e impau­riti, mi comu­ni­ca­vano che ave­vano dovuto far can­di­dare le pro­prie mogli nello schiera­mento avversario”.

Una mat­tina trovò i man­i­festi a lutto che annun­ci­a­vano la sua scom­parsa aff­issi per tutta la città di Melito. Capì che era l’ultimo avviso. Come molti altri ammin­is­tra­tori per bene cam­pani Tuc­cillo fu las­ci­ato solo dalla polit­ica nazionale. Ora nel Pd locale ci sono molti mem­bri che sosten­nero e col­lab­o­rarono con Alfredo Cicala.

Prestieri conosce bene la polit­ica cam­pana. “Per i politici durante la cam­pagna elet­torale la camorra diventa roba onesta, come un’istituzione senza la quale non puoi fare niente. Io mi ero fatto uno stu­dio. Uno stu­dio ele­gante, avevo com­per­ato anti­quar­i­ato cos­toso, pezzi antichi d’archeologia, quadri impor­tanti in gal­lerie dove anda­vano tutti i grandi man­ager ital­iani per arredare le loro case. E la tappezze­ria l’avevo fatta con le stoffe com­prate dai dec­o­ra­tori che sta­vano tappez­zando il teatro La Fenice di Venezia. In questo stu­dio ricevevo le per­sone. Davo con­sigli, mi pren­devo i nomi per le assun­zioni da far fare ai nos­tri politici. Rac­coglievo le lamentele delle per­sone. Se avevi un prob­lema lo risolvevi nel mio stu­dio, non certo andando dai sin­da­cati, dagli inesistenti sportelli al Comune. Anche in questo la camorra è più effi­ciente. Ha una buro­crazia dinamica”.

Mau­r­izio Prestieri in realtà viveva sem­pre meno a Napoli sem­pre più tra la Slove­nia, l’Ucraina e la Spagna. Ma non quando c’era il voto alle porte. Durante la cam­pagna elet­torale era nec­es­saria la pre­senza del capo in zona. “Io provengo da una famiglia che votava Par­tito comu­nista, mio padre era un onestis­simo lavo­ra­tore e quand’ero pic­colo mi por­tava a tutte le man­i­fes­tazioni, io mi ricordo i comizi di Berlinguer, le bandiere rosse, i pugni chiusi in cielo. Ma poi siamo diven­tati tutti berlus­co­ni­ani, tutti. Il mio clan ha sem­pre appog­giato prima Forza Italia, e poi il Popolo delle Lib­ertà. Non so com’è avvenuto il cam­bi­a­mento, ma è stato nat­u­rale stare con chi vuole far fare i soldi e ti toglie tutti i prob­lemi e le regole di mezzo”.

Prestieri sa esat­ta­mente come si porta avanti una cam­pagna elet­torale. Dalle mie parti i camor­risti chia­mano i politici “i cav­al­lucci” : sono solo per­sone su cui puntare per farli arrivare al Comune, alla Provin­cia, al Par­la­mento, al Sen­ato, al Gov­erno. “Io una volta ho fatto anche il pres­i­dente di seg­gio, 11 anni fa. Noi fac­ciamo cam­pagna elet­torale a seggi aperti, quando è vietato, non solo per con­vin­cere e com­prare quelli che ancora non hanno votato, ma per farci vedere dalle per­sone che vanno a votare, come a dire: vi con­trol­liamo. A volte face­vamo cir­co­lare la voce che in alcuni seggi met­te­vamo le tele­camere: era una fes­se­ria, ma le per­sone si inti­mori­vano e non si face­vano com­prare da altri politici o con­vin­cere da qualche discorso”.

La cam­pagna elet­torale è lunga ma i clan riescono a gestirla con l’intimidazione da una parte e il con­senso ottenuto con un sem­plice scam­bio. “Io me li andavo a pren­dere uno per uno. Ho por­tato vec­chi­ette inferme in brac­cio al seg­gio pur di farle votare. Nes­suno l’aveva mai fatto. Garan­tivo che i seggi negli ospedali fun­zionassero, pagavamo la spesa alle famiglie povere, le bol­lette ai pen­sion­ati, la prima mesata di fitto per le gio­vani cop­pie. Dove­vano tutti votare per noi e li com­pravamo con poco. Orga­niz­zavo le gite con i pul­mini per andare a votare. I clan di Sec­ondigliano pagano 50 euro a voto e spesso cor­rompendo il pres­i­dente di seg­gio capisci più o meno se qualche famiglia, dieci quindici per­sone, si è ven­duta a un altro. Face­vamo sen­tire la gente impor­tante con un panino e una bol­letta pagati. Se la democrazia è far parte­ci­pare la gente, noi siamo la democrazia per­ché andi­amo da tutti. Poi questi ci votano e noi fac­ciamo i cazzi nos­tri. Appalti, piazze di spac­cio, cemento, inves­ti­menti. Questo è il business”.

Oggi Prestieri è quasi dis­gus­tato quando parla di queste cose, sente di aver gio­cato con l’anima delle per­sone, ed è una cosa che ti sporca den­tro. E per la polit­ica ital­iana ha un dis­prezzo totale, come tutti i camor­risti. Gli chiedo se aveva sem­pre e solo appog­giato i politici di una parte. Prestieri sor­ride: “Noi sì, a parte pic­cole eccezioni locali, come a Melito, ma la camorra si divide le zone e così si divide anche i politici. Ci scon­travamo ogni volta con i Moc­cia che hanno sem­pre sostenuto il cen­trosin­is­tra. Noi fes­teggiavamo alle elezioni politiche quando vinceva Berlus­coni e loro fes­teggia­vano alle comu­nali o region­ali quando vince­vano Bas­solino e com­pag­nia. Napoli città è sem­pre stata di sin­is­tra, e a noi ci faceva pure comodo, tutti quelli di estrema sin­is­tra che a piazza Bellini o davanti all’Orientale fuma­vano has­cisc e erba, o si com­pra­vano coca ci finanzi­a­vano. Lib­ertà, lib­ertà con­tro il potere dice­vano, con­tro il cap­i­tal­ismo e poi il fumo e la coca a ton­nel­late la com­pra­vano. Quindi quelli vota­vano pure a sin­is­tra ma poi i loro soldi noi li usavamo per sostenere i nos­tri can­di­dati del centrodestra”.

Gli chiedo se ha mai incon­trato politici di cen­trosin­is­tra. “No, mai ma sono certo che il clan Moc­cia assieme ai Lic­cia­rdi appog­gia il cen­trosin­is­tra, per­ché erano nos­tri rivali e quindi ne parlavamo con­tin­u­a­mente tra noi e anche con loro della spar­tizione dei politici. Noi ce la pren­de­vamo con loro quando vinceva la sin­is­tra, per­ché sig­nifi­cava che per loro erano più affari, più appalti, più soldi, meno con­trollo”. E politici di cen­trode­stra, mai incon­trati? “Sì certo, io sono stato per anni e anni un attivista di Forza Italia e poi del Pdl. Ho incon­trato una delle per­son­al­ità più impor­tanti del Par­tito delle Lib­ertà in Cam­pa­nia. Non posso fare il nome per­ché c’è il seg­reto istrut­to­rio, ma mi ricordo che nel marzo del 2001, pochi mesi prima delle elezioni, questa per­sona, seguita da una marea di gente, si fermò in Piazza della Lib­ertà sotto casa mia. Ero affac­ciato al bal­cone, goden­domi lo spet­ta­colo della folla che lo seguiva (tutta opera nos­tra che ave­vamo spinto la gente ad accla­marlo), e questo politico, incu­rante perfino delle forze dell’ordine che lo scor­ta­vano, incom­in­ciò a salu­tarmi lan­ciando baci a scena aperta. Scesi e andai a salu­tarlo, ci abbrac­ciammo e baci­ammo come par­enti, men­tre la folla accla­mava questa scena. Questa cosa mi piaceva per­ché non si ver­gog­nava di venire sotto la casa di un boss a chiedere voti e mi con­sid­er­ava un uomo di potere con cui dover par­lare. Sapeva benis­simo chi ero e cosa facevo. Ero stato già in galera avevo avuto due fratelli uccisi in una strage. Era nel mio quartiere, chi­unque fosse di Napoli sapeva con chi aveva a che fare quando aveva a che fare con me. Nel mio stu­dio, invece, venne in quel peri­odo un noto gine­col­ogo, una delle star della fecon­dazione arti­fi­ciale in Italia. Quando si vol­eva can­di­dare a sin­daco venne ad offrirmi 150 mil­ioni di lire in cam­bio di sostegno. Non potetti accettare poiché il clan già aveva già scelto un altro cavallo”.

I politici sanno come ricam­biare. Le strate­gie dipen­dono da che grado di coin­vol­gi­mento c’è con il clan. Se si è una diretta emanazione, non ci sarà appalto che non sarà dato ad imp­rese amiche. Se il clan invece ha dato solo un “appog­gio esterno”, il politico ricam­bierà con asses­sori in posti chi­ave. Poi ci sono i politici che devono man­tenere le dis­tanze e quindi si lim­i­tano ad evitare il con­trasto, a costru­ire zone franche o a gener­are eterni cantieri per for­ag­giare il clan e dar­gli il con­tentino. “Io mi sono sem­pre sen­tito amico della polit­ica napo­le­tana del cen­trode­stra. Per più di dieci anni ho avuto persino il per­me­sso dei dis­abili avuto per­ché ero un sosten­i­tore attivo del Pdl. In gergo di camorra quel pass noi lo chi­ami­amo il mon­goloide. Con quello parcheg­giavo dove volevo, quando c’erano le domeniche eco­logiche giravo per tutta Napoli deserta. Bellissimo”.

Padrone della coca, padrone della polit­ica negli enti locali, il clan Di Lauro — Prestieri diventa sem­pre più ricco, trova nuovi ambiti di inves­ti­mento: dalla Cina dove entra nel mer­cato del falso agli inves­ti­menti nella finanza. C’era il prob­lema di gestire i soldi, rici­clarli, inve­stirli. “Enzo, uno dei figli di Paolo Di Lauro col com­puter ci sapeva fare e spostava in un attimo soldi da una parte all’altra. E mi stupii una volta che c’era una nos­tra riu­nione, loro par­larono di acquistare un pac­chetto di azioni della Microsoft. Loro ave­vano un uomo in Svizzera, Pietro Vir­gilio, che gli faceva da col­let­tore con le banche. Senza banche svizzere noi non saremmo esistiti”.

Ma in realtà è pro­prio l’ascesa la causa della caduta. Tutto sem­bra mutare quando arriva l’attenzione nazionale su di loro, e arriva per­ché il clan ormai viag­gia sem­pre di più, tra la Svizzera, la Spagna, l’Ucraina e Di Lauro affida tutto ai figli. Questi tol­gono autono­mia ai diri­genti, ai capi­zona, che il padre con­sid­er­ava come liberi impren­di­tori. I figli gli tol­gono cap­i­tali e deci­sioni e li met­tono a stipen­dio. Si scindono. E scop­pia una guerra feroce, un mas­sacro in cui ci sono anche quat­tro morti al giorno. “Io lo dico sem­pre: non dove­vamo essere Vip, ma Vipl”. Vipl? Chiedo. E cioè? “Si la L sta per Local”. Very Impor­tant Per­son, Local! L’importante è essere impor­tanti solo nel recinto. “Il danno più grave che avete fatto scrivendo dei camor­risti è che gli avete dato troppa luce. Questo è stato il guaio. Se sei un Vipl a Scampia puoi sparare, vendere cocaina, met­tere paura, avere il bar fico di tua pro­pri­età, le fem­mine che ti guardano per­ché metti paura: insomma sei uno effi­ciente. Ma se mi metti sotto la luce di tutt’Italia il ris­chio è che la noto­ri­età nazionale mi inc­rina quella locale, per­ché per l’Italia risulto un crim­i­nale e basta. L’attenzione mi sput­tana, dice che sono uno vio­lento uno che fa affari sporchi e costringono pure mag­is­trati e poliziotti ad agire velo­ce­mente, e non ci sono più mazzette che ti difendono”.

Prestieri ha deciso di col­lab­o­rare, però non parla di sé come di un pen­tito, ma come di un soldato che ha tra­dito il suo esercito. “No, non sono un pen­tito, sarebbe troppo facile can­cel­lare così quello che ho fatto, oggi sono solo una divisa sporca della camorra”. Ma il peso di quello che ha fatto lo sente. “Le morti inno­centi che faceva il mio gruppo mi sono rimaste den­tro. Soprat­tutto una. C’era un ragazzo che dava fas­tidio a dei nos­tri impren­di­tori, gli imponeva assun­zioni, gli rubava il cemento. Dove­vamo ucciderlo ma non sape­vamo il nome. Solo dove abitava. Così uno che conosceva la sua fac­cia si apposta sotto casa con due killer. Doveva strin­gere la mano alla vit­tima: quello era il seg­nale. Passa un’ora niente, pas­sano due niente, esce poi un ragazzo, prende e stringe la mano al nos­tro uomo, al che i killer sparano subito ma questo urla “nunnn’è iss, nunn’è iss, non è lui!!” Inutile. Non solo è morto, ma poi tutti hanno detto che quel ragazzo era un camor­rista, per­ché la camorra non sbaglia mai. Solo noi sape­vamo che non c’entrava nulla. Noi e la madre che si sgolava a ripetere che suo figlio era inno­cente. Nes­suno a Napoli le ha mai cre­duto. Io moral­mente mi impeg­n­erò nei prossimi mesi a fare gius­tizia di questo ragazzo, nei processi”.

Chi­unque entra in un’organizzazione crim­i­nale sa il suo des­tino. Carcere e morte. Ma Prestieri odia il carcere. Non è un boss abit­u­ato a vivere in un tugu­rio da lati­tante, sem­pre nascosto, sem­pre blindato. È abit­u­ato alla bella vita. E prob­a­bil­mente anche questo lo spinge a col­lab­o­rare con la gius­tizia. “Il carcere è duris­simo. In Italia soprat­tutto. Noi tutti sper­avamo di essere detenuti in Spagna. Lì una volta al mese, se ti com­porti bene, puoi stare con una donna, poi ci sono palestre, attiv­ità nel carcere. Se mi dici dieci anni in Spagna o cinque a Pog­gio­re­ale, ti dico dieci in Spagna”. Così come il carcere di Santa Maria Capua Vet­ere a Caserta l’hanno costru­ito le imp­rese dei casalesi anche il carcere di Sec­ondigliano l’hanno costru­ito le imp­rese dei clan di Sec­ondigliano. “Ce lo fecero vis­itare prima che il cantiere fosse con­seg­nato. E ci scherzavamo. O’ cinese qui finisci tu. O’ Sicco su questa cella c’è già il tuo nome. Visi­ta­mmo il carcere dove ognuno di noi poi sarebbe finito. Ho fatto più di dieci anni di galera, e mai un giorno mi sono fatto il letto. Quando sei un capo della mafia ital­iana in qual­si­asi carcere ti man­dano, c’è sem­pre qual­cuno che ti rifà il letto, ti cucina, ti fa le unghie e la barba. In carcere quando non sei nes­suno è dura. Ma alla fine tutti sti­amo male in galera e tutti abbi­amo paura. Io ho visto con i miei occhi Val­lan­za­sca, che era un mito giusto per­ché al nord uomini mafiosi non li conoscono, quasi baciare le mani alle guardie. Poverino, faceva una vita di merda totale in galera, era total­mente suc­cube delle guardie. E io mi dicevo, questo è il mitico Val­lan­za­sca di cui tutti ave­vano paura? Che si mette sull’attenti e mani dietro la schiena appena passa un sec­ondino? Dopo dieci anni di galera in ver­ità sei un agnellino, tutti trem­i­amo se sen­ti­amo che stanno venendo i GOM, (gruppi oper­a­tivi mobili) che quando qual­cosa non va in carcere arrivano a mazziare”.

Fac­cio l’ultima domanda, ed è la solita domanda che nei talk show pon­gono agli ex crim­i­nali. Ridendo fac­cio il verso “Cosa direbbe ad un ragazz­ino che vuole diventare camor­rista?” Prestieri ride anche lui ma in maniera amara. “Io non posso inseg­nare niente a nes­suno. Sono tanti i motivi per cui uno diventa camor­rista, e tra questi la mis­e­ria spesso è solo un alibi. Ho la mia vita, la mia trage­dia, i miei dis­as­tri, la mia famiglia da difend­ere, le mie colpe da scon­tare. Sono felice solo di una cosa, che i miei figli sono uni­ver­si­tari, lon­tani da questo mondo, per­sone per­bene. L’unica cosa pulita della mia vita”.

FONTE LA REPUBBLICA

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